NUNO, il Gatto con 9 vite
La storia che vi racconterò oggi, comincia qualche mese prima che accadesse. E’ la storia di un gatto randagio e di un’ umana che ama i mici, e che quando ne incontra uno per strada, affamato o acciaccato che sia, si china a fargli due coccole e porgergli una pappa.
Il sogno di questa umana, che sono io, è quello di regalare a tutti i gatti di strada una casa, una famiglia, una pappa buona e un comodo divano, dove ogni giorno potersi stiracchiare e farsi le unghie. Anche se ciò non potrà mai avverarsi, continuo a sperare e a far si che questa missione si realizzi almeno nel mio piccolo mondo.
Quando ero bambina credevo che i gatti più felici fossero quelli che vivevano liberi e spensierati all’aria aperta. I gatti cacciatori, che ti portavano i topolini o gli uccellini come dono. I gatti golosi che ti venivano a trovare quando sentivano profumi dalla cucina, e soprattutto i gatti innamorati, quelli che la notte potevano guardar la luna e correre dalle loro innamorate alla scoperta dell’amore.
Quando invece, osservavo i gatti appisolati per ore e ore sulle poltrone o in piedi davanti alle finestre di casa, pensavo che fossero tristi. Forse da piccola non conoscevo nessun pericolo o forse non avevo ben chiaro cosa fosse la vita!
Qualche anno fa per strada ho fatto la conoscenza di un piccolo gattino bianco e grigio, poteva avere tre o quattro mesi. A differenza di altri gatti randagi che ho incontrato nella mia vita, questo micetto mi ha dato pensiero da subito.
Forse perché stava sul ciglio di una strada in curva, e incurante fissava un cespuglio di foglie davanti al muretto alto di una casa che sembrava abbandonata. Non capivo se quella fosse casa sua, dalla quale era scappato, o se cercava semplicemente cibo e chissà da dove venisse.
Da quel giorno facemmo subito amicizia. Ogni notte quando tornavo a casa da lavoro in macchina con Alessandro, mio marito, gli portavamo una pappa. Poi si faceva coccolare, e prima di salutarci gli facevo mille raccomandazioni, mentre lui, buono buono, saltava il muretto e andava a dormire in mezzo alle foglie.
Ed io andavo a dormire con l’immagine di quel gatto, di cui non aveva ancora un nome, e di come aveva gustato felice quella pappa e quelle carezze sfuggenti.

Dopo il nostro primo incontro, ogni notte, tranne quando pioveva quel gatto era lì, ad aspettarmi. Mi fermavo con la macchina, gli davo da mangiare e dopo andava a dormire oltre il muretto.
Sinceramente mi ero affezionata subito a quel musetto dolce e birbante, che da me a quanto pareva voleva solo cibo e qualche coccola. Avrei voluto trovargli da subito una famiglia, scrivere un appello per lui ma non sapevo se fosse di qualcuno.
Di giorno non c’era mai. Avevo anche perlustrato la zona, chiesto alle persone se conoscessero quel gatto. Ma nessuno mi ha saputo dare notizie.
“Qui ci sono tanti gatti!”– addirittura, qualcuno ha detto – “I gatti portano malattie!”-, o peggio – “Qui è un continuo di gatti, ci mancavano loro!”.
Insomma niente che potesse aiutarmi a capire dove stava quel gatto di giorno. Mi veniva da pensare che fosse veramente di qualcuno e che di notte scappava.
Non ero tranquilla per nulla, e poi il gatto si stava facendo grande, e se fosse stato veramente randagio avrei dovuto farlo per lo meno sterilizzare. La situazione si complicava.
Dopo aver riflettuto su tutte queste cose, quel gatto, per parecchi giorni non si è più visto. Cominciava a far freddo, i nostri incontri in quel periodo si erano fatti rari e quando misteriosamente appariva, ero felicissima che stava bene.
Ora era più grandicello, era diventato più diffidente, cercava sempre meno le coccole e dopo aver mangiato scappava come un razzo. Sinceramente ero più tranquilla quando non lo incontravo piuttosto che vederlo in pericolo sulla curva di quella strada, a giocare con le foglie.
La notte che decisi di dare un nome a quel gatto, fu una notte di lacrime e di tristezza. La ricordo come se fosse ora.
Quella notte, proprio poco prima dell’inizio di quella curva dove era solito stazionare il gatto, ci sorpassa un auto ad alta velocità. Nel mentre vedo qualcosa dall’altro capo della strada che corre per attraversare la strada, non riesco a capire. Questione di secondi. Cerco di connettere il cervello: la macchina che era davanti a noi, a tutta velocità ha investito un animale.
Freniamo di colpo, scendiamo di corsa dalla macchina, mentre la macchina davanti a noi si dilegua come se niente fosse. Riconobbi che era il mio piccolo randagino scapestrato e sfortunato, il gatto bianco e grigio era inerme in mezzo alla strada.
Piangevo dalla rabbia, dalla disperazione, mio marito ebbe la prontezza di levarlo dalla strada e di posarlo sul ciglio del marciapiede, sembrava che non respirasse più. Cercavo invano di chiamare i vigili, un veterinario, non mi rispondeva nessuno e chi mi rispendeva mi diceva di attendere in linea o di restare lì sul posto dell’incidente.
Aspettammo inutilmente che qualcuno arrivasse per aiutarci e dirci cosa fare, non sapevamo come comportarci in queste situazioni.
Avevo il cuore a mille, il gatto probabilmente aveva sbattuto la testa, sul corpo non aveva grosse lesioni, e sul musetto aveva un po’ di sangue, ma era immobile da quando l’avevamo raccolto dalla strada.
Dieci minuti così, lunghissimi minuti trascorsi tra lacrime e parolacce. E quando perdemmo tutte le speranze, con il cuore in gola, il gatto si svegliò dal suo coma, così come lo chiamo io, fece alcuni scatti nervosi e salti, e impaurito scappò nascondendosi sotto le macchine parcheggiate.
Non c’era verso di prenderlo, e la mia paura era che potesse essere così spaventato e finire sotto una macchina un’altra volta.
Ho passato la notte su quella strada, facendo segno alle poche macchine che passavano di rallentare. Quando ha iniziato ad albeggiare avevo la certezza che non sarebbero venuti ne i vigili ne chiunque altro.
Come un fulmine, come se nulla fosse successo, mi girai e vidi quel gatto che scavalcava il muro che lo conduceva dentro il giardino. Nuno, lo chiamai Nuno, perché mi augurai che fosse vero il detto che i gatti hanno 9 vite.
Mi addormentai con le lacrime agli occhi, mille domande mi passavano per la testa. Se non fossi passata lì in quel momento ma fosse passato chiunque altro? E se non si fosse fermato a raccogliere il piccolo e metterlo in sicurezza? Se fosse passata un’altra macchina che lo avrebbe schiacciato e ucciso per sempre?
Riuscii a chiudere gli occhi a inizio mattina con quei brutti pensieri e con la certezza che appena mi sarei svegliata sarei entrata a tutti i costi in quel giardino privato, scavalcando il muro alto alla ricerca di Nuno.
Era un giardino pieno di erba e spine, prima di entrare provai a suonare al portoncino accanto, ma non rispondeva nessuno, come già avevo provato a fare tempo prima. Scavalcai a fatica e mi feci coraggio ma non trovai nulla, ne Nuno ne qualsiasi cosa che mi facesse pensare che di lì era passato o viveva un gatto.
Fu soltanto nel tardo pomeriggio, che riprovai ad andare alla casa vicino al giardino. Bussai con insistenza al portoncino, e dopo tanto venne ad aprire un signore anziano, che sembrava non aver molta voglia di starmi a sentire.
Lo implorai di darmi retta, e quando gli raccontai che cercavo un gatto bianco e grigio e tutta la storia di Nuno, mi disse, che quel giardino era pieno di gatti randagi. Aveva provato a cacciarli senza ottenere risultato e soprattutto non aveva tempo per pensare ai gatti.
Supponeva che qualcuno glieli lanciasse nel giardino, che non curava più da quando aveva perso la moglie. Ogni tanto comprava i croccantini, perché in fondo lui amava gli animali.
Fu allora, che mi disse che quella mattina il gatto bianco e grigio, che di solito era sempre in giro, stranamente si era accucciato davanti alla sua porta, e si era fatto coccolare a tal punto che gli aveva aperto la porta di casa, e si era acciambellato sulla poltrona, dormendo tutto il giorno.
Nuno, il Gatto con 9 vite e Antonella.

Mi fece cenno di entrare, ci presentammo e in quel momento cercai di convincere il signor Luciano, così si chiamava quell’uomo, a iscrivere tutti i gatti che venivano a trovarlo a una colonia, che sarebbe stata gestita da lui, e di farli sterilizzare tutti e che io gli avrei dato una mano.
All’inizio mi disse di no, ma dopo due giorni mi chiamò perchè ci aveva ripensato. Nuno fu subito portato dal veterinario per accertamenti, e sapere che stava benissimo fece sentir meglio anche me.
Fu sterilizzato dopo un mese, e ora vive felice e libero nel giardino, messo in sicurezza, che ora ha preso forma e colore insieme ad altri gatti della colonia.
Spero con tutto l’affetto che Nuno conservi intatte tutte le sue altre 8 vite. Ma soprattutto mi auguro che chiunque si fermi a soccorrere un animale ferito o che ha subito un incidente, perché è un dovere di ognuno di noi, a prescindere dal fatto che abbiamo o no a cuore il bene per gli animali.
Se volete raccontare la storia dell’adozione del vostro pet, scriveteci e saremo lieti di condividerla. 🐾
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